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Attraversare le emozioni, coltivare la compassione

sabato, 11 gennaio 2020 | Articolo di Marina Ciampelli | 0 commenti

1-3 Novembre: Seminario condotto da Franco Cucchio, Motus Mundi di Padova

Sono stati, quelli trascorsi nella splendida cornice di San Marco ad Abano Terme (PD), tre giorni intensi e coinvolgenti, un viaggio attraverso le emozioni.

Franco Cucchio ci ha condotto progressivamente e con sempre maggior intensità in questo percorso di conoscenza ed esperienza diretta sulle emozioni.

Le emozioni sono una parte fondamentale della nostra vita cosciente, del nostro sentire e sentirci vivi.


“Le emozioni sono un processo, un tipo particolare di valutazione automatica influenzata dal nostro passato evolutivo, in cui sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante in relazione al nostro benessere, e in cui una serie di comportamenti psicologici ed emotivi sono attuati per affrontare la situazione”. (Ekman, 2003)


Esprimono bisogni fondamentali per la sopravvivenza e le relazioni con gli altri, oltre che con noi stessi,  ed hanno una dimensione corporea che, se ben conosciuta e integrata, può portarci ad una lettura profonda di quella che è la nostra esperienza, al di là di ciò che pensiamo, giudichiamo e concettualizziamo.

 

Possiamo dire che ci sono 3 modalità di interfacciarci con le emozioni: 

  1. 1. le possiamo negare/evitare, ma questo può farci sentire in balia delle emozioni stesse, che possono addirittura amplificarsi in questo stato di disconoscimento; 
  2. 2. oppure possiamo tuffarci dentro le emozioni, alla ricerca di sensazioni intense ma, anche in questo caso, è come perdere il timone della barca, perché dobbiamo prima imparare a nuotare. 
  3. 3. Ma c’è una terza possibilità che prevede lo sviluppo di una competenza emotiva: questa passa attraverso la delicatezza dell’aprirsi all’esperienza del corpo, cosicché l’esperienza del corpo sia in connessione con la mente, che di per sé tende a catalogare, etichettare, giudicare. 

 

Si realizza così un ponte fra esperienza della mente ed esperienza del corpo.

Le emozioni sono il nostro sonar: scandagliano il fondo dell’oceano cosicché possiamo raddrizzare la nostra rotta, in base ai bisogni che abbiamo e alla meta che vogliamo perseguire. Si tratta quindi di utilizzarle per sviluppare una competenza emotiva utile al perseguimento dei nostri bisogni e scopi.

Come può aiutarci la Mindfulness a sviluppare questa competenza emotiva?

Una definizione di Mindfulness che ci apre a questa visione è quella di Bikkhu Bodhi, monaco tedesco, che la definisce così: Mindfulness è ricordarsi di porre attenzione a ciò che sta accadendo nell’esperienza presente con attitudine affettuosa e discernimento.

 

 

Il discernimento è appunto la capacità di osservare da vicino e con chiarezza quanto sta accadendo in noi. Se stiamo guidando e troviamo una fitta nebbia saremo costretti a rallentare fino anche a fermarci, per evitare di andare a sbattere. 

Così nella pratica: certe volte troviamo confusione, nebbia, e allora possiamo rallentare, finché la nebbia non comincia a diradarsi e la chiarezza può tornare. Ma un altro aspetto importante che Bikku Bodhi sottolinea è l’attitudine: essa deve essere affettuosa.

Mindfulness infatti non è altro che l’arte di entrare in relazione con noi stessi, con la nostra esperienza, è un incontro, che avviene senza sforzo: così come il corpo non si sforza di respirare noi possiamo incontrare l’esperienza in maniera delicata, spontanea e semplice, mentre pratichiamo la consapevolezza. 

Seguendo lo schema di Shauna Shapiro ci sono 3 punti che caratterizzano la pratica della consapevolezza:

  • • Attenzione
  • • Intenzione
  • • Attitudine

 

L’intenzione ad essere presenti è fondamentale: è l’uscire dal pilota automatico per scegliere di dimorare nel momento presente.

Ma essa da sola non basta: deve infatti essere sostenuta da una qualità di attenzione che va allenata ed è l’attenzione esecutiva: essa si contrappone all’attenzione selettiva che, essendo automatica,è quella che per lo più attiviamo nella vita di tutti i giorni; l’attenzione selettiva ha a che fare con il conseguimento di un risultato, con il compiersi, e non con il compiuto. Per questo motivo siamo sempre a giudicare se qualcosa “mi piace non mi piace” “è giusto/sbagliato” “l’ho fatto bene/non l’ho fatto bene” perché essa si basa sul raggiungimento di uno scopo. 

Ma la pratica non ha a che fare con lo scopo, bensì con l’essere, l’assenza di scopi, l’esperienza così com’è.

Ma quello che segna una ulteriore differenza è che intenzione ed attenzione devono essere sostenute da una attitudine: è quello che Bikkhu chiama affettuosa, fatta di gentilezza, riconoscimento, contenimento.

Questa è la pratica della mindfulness, un’arte della presenza e dell’incontro che riconosce, contiene, accoglie.

L’ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la superano. (Blaise Pascal)

Le tre giornate sono state un susseguirsi di teoria e di pratiche che hanno permesso di prendere contatto direttamente con l’esperienza emotiva: come la pratica di riconoscimento emotivo personale, sia nella propria intimità sia in condizioni di contatto visivo con altri partecipanti. Ho sentito queste pratiche estremamente efficaci nello sviluppare una competenza emotiva intrasomatica: ci allenano a sentire il nostro corpo e a capire così cosa c’è in gioco dentro di noi in quel momento, in termini di emozioni, bisogni, scopi.

Le nostre emozioni hanno un’infinità di sfaccettature e sfumature, come una tavolozza di colori. Utilizzando l’immagine del film “Inside-out” possiamo vedere come si mescolano questi colori e quali sfumature emotive danno.

Se impariamo a riconoscere le nostre emozioni attraverso l’esperienza del corpo e a sviluppare così una competenza intrasomatica, possiamo riconoscere anche i nostri bisogni e gli scopi vitali che sono in atto in un certo momento.

Le emozioni, infatti, agiscono già dalla nascita perché servono al raggiungimento di scopi vitali (che Panksepp riconosce e suddivide in 7 domini: ricerca/desiderio; paura; rabbia; desiderio sessuale; cura/accudimento; panico/angoscia; gioco): siamo dotati di un cervello intersoggettivo che integra i segnali e le motivazioni che derivano dalla struttura tripartita secondo il modello di McLean (per la quale il cervello è costituito dal cervello rettili ano, limbico e dalla neocorteccia). 

Fra la modalità quindi di evitare/negare le emozioni e quella di tuffarcisi dentro senza una competenza emotiva, vi è la terza possibilità che prevede che possiamo avvicinarci e sentire il nostro mondo interno, senza farci capovolgere e sommergere.

 

Fra i venti e le onde delle emozioni che spingono la nostra barca e la fanno deviare, noi come capitani possiamo scegliere la rotta, soprattutto scegliendo come orientare le vele, sfruttando la loro forza piuttosto che contrapponendoci ad essa. Ma lo possiamo fare solo se la nostra barca è dotata di deriva, che le dà stabilità: questa stabilità ci è data dal respiro e dal nostro corpo. Se non avessimo la possibilità di riancorarci al respiro, al corpo, perderemmo la stabilità e potremmo venire piegati e capovolti dalle onde.

Ma oltre alla deriva c’è una qualità che rende possibile questa stabilità: ed è l’attitudine che abbiamo verso noi stessi, verso la nostra esperienza.

Attraverso gli occhi della compassione e dell’autocompassione possiamo avvicinarci a noi stessi e alla nostra esperienza con gentile accoglienza, riconoscendo e contenendo l’esperienza stessa. 

È così che possiamo sviluppare l’amore per noi stessi, per i nostri limiti e la fiducia in ciò che sentiamo, senza dover corrispondere a una immagine esterna sulla quale misuriamo il valore e la nostra autostima.

Le pratiche dello specchio, attraverso cui possiamo diventare consapevoli degli occhi con cui ci guardiamo e con cui guardiamo gli altri, condotte con vera delicatezza da Franco, aprono una nuova finestra di consapevolezza su quello che diamo per scontato: l’immagine che abbiamo di noi stessi. Che tendiamo a catalogare, a etichettare e a misurare con un metro spesso impietoso. 

E poi le pratiche di gentilezza condotte in coppia così da ampliare il senso di condivisione umana universale, parte integrante della self-compassion.

E, come sempre, quando riusciamo a entrare in contatto così delicato e intimo con la nostra esperienza umana, insieme ad altre persone, queste diventano dei veri compagni di viaggio.

E la foto mostra la gioia e la semplicità di questa unione e condivisione.

La speranza è che presto ci sarà un’altra occasione per godere di questa atmosfera, così ricca, piena, umanamente coinvolgente. Grazie Franco!! 

Marina Ciampelli
www.mindfulnessfirenze.it

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