Connetterci con ciò che emerge
“Ho sempre voluto un cane, racconta Elana ad una platea di persone venute al Motus Mundi a seguire il suo seminario – ma non ho mai potuto averlo. Quando mi è stato diagnosticato il cancro, mi sono detta: perché no?”. È molto importante, quando affrontiamo la sofferenza, connetterci con ciò che ci dà sollievo, che ci fa stare bene e ci risintonizza con la vita in tutta la sua grande bellezza. La natura, le stagioni che cambiano, la dolcezza delle cose piccole di ogni giorno, il nostro innato coraggio… “ma anche l’energia che ci vuole per litigare con mio marito – sorride Elana”. Anche se quando ci ammaliamo, e soffriamo (o quando qualcuno che amiamo soffre), siamo automaticamente portati a cercare soluzioni che cancellino la sofferenza, o la anestetizzino.
Vorremo non sentire, vorremmo risolvere subito.
Cos’è la sofferenza?
Ma cos’è dunque la sofferenza? Questa compagna di viaggio, con cui ciascuno di noi si trova a doversi confrontare prima o poi? Come stabilire una relazione diversa con la sofferenza, in modo da comprenderla veramente, in modo da accettare di incontrarla?
La presenza di una malattia è forse una delle più grandi occasioni in cui la vita ci offre l’opportunità di conoscere intimamente la sofferenza. Di incontrarla in campo aperto, dato che quando siamo malati, il corpo non ubbidisce più alla nostra volontà, si ribella.
E allora ci sentiamo impotenti, senza scelta. Siamo presi da mille pensieri e preoccupazioni, totalmente tenuti in ostaggio dalle emozioni che ne derivano: tristezza o rabbia; paura, sconforto o senso di colpa.
Vorremmo evitare di dover affrontare le cose, vorremmo trovare una medicina che risolve tutto, pensiamo che non ce lo meritiamo e che se non è colpa nostra, allora deve essere colpa di qualcun altro o qualcos’altro.
E tutto questo non fa altro che aumentare la sofferenza, renderla ancora più acuta, più profonda.
Aggiungiamo sofferenza alla sofferenza, mentre vorremmo che le cose si sistemassero e che tutto tornasse a posto.
Le cose cambiano
“Ma le cose cambiano – dice Elana – anche se non ce ne accorgiamo, anche se ci sembra che debbano rimanere così eternamente, le cose cambiano continuamente. Perché la vita è una danza di felicità e sofferenza”. È possibile dunque trovare un momento di gioia anche se soffriamo? Possiamo allenarci a ritrovare questa grande libertà che è tutta nelle nostre mani? “Se riusciamo ad entrare in relazione con la nostra sofferenza, quella del corpo, dei pensieri e delle emozioni, dice Elana, allora c’è la possibilità di ammorbidirci un po’ e di non soffrire inutilmente”.
Parte della sofferenza che sperimentiamo è infatti costituita dal dolore che ci provoca l’esperienza in sé – la malattia per esempio –, ma una parte molto consistente è dovuta al nostro rimuginare i pensieri che riguardano l’esperienza stessa, al nostro aggrapparci a soluzioni che ci sembrano urgenti, all’evitare di voltarci verso la nostra stessa sofferenza. “Questo è quello che facciamo automaticamente, ripete Elana, io stessa e molti dei miei pazienti abbiamo reagito in questo modo. Ma non funziona”.
Cosa dobbiamo fare dunque?
È solo quando riusciamo a diventare un “contenitore” sicuro per le nostre emozioni difficili, per le sensazioni corporee dolorose che proviamo e per i pensieri che vorticano incessantemente nella nostra mente, che riusciamo a sentirci sostenuti e accolti.
Sembra un paradosso: accettare la sofferenza per quella che è; a pensarci, può anche farci paura!
Eppure, respiro dopo respiro, connettendoci con le piccole cose che ci circondano – aiutando i nostri cari, se stiamo vivendo la malattia di chi amiamo – ad ascoltare l’esperienza invece di fuggire, la trasformazione si compie.
“Nonostante io abbia sofferto molto, racconta Elana, ricordo che con questo tipo di ‘allenamento’ all’ascolto, all’osservazione equanime di ciò che mi stava accadendo, ho vissuto un periodo molto tranquillo, in cui mi sono concessa di non fare nulla più che apprezzare il mio stare lì, il mio accogliere le persone che venivano a trovarmi. Potevamo stare in silenzio, alla semplice presenza reciproca, e questo è davvero tanto”.
La Mindfulness ci offre la possibilità di stare in presenza del dolore (il nostro o quello di un’altra persona) senza venire sopraffatti, senza che questo ci annienti.
“Il dolore in sé non se ne va, conclude Elana, ma la relazione che stabiliamo con questa parte intrinseca della vita, ci trasforma radicalmente”.
Elana Rosenbaum, Senior Teacher del Center for Mindfulness in Medicine, Healthcare and Society presso la Medical School della University of Massachusetts, è una delle insegnati di mindfulness e di MBSR con maggior esperienza al mondo, avendo operato presso il Center for Mindfulness fin dalla sua fondazione. Al Motus Mundi ha condotto un seminario dal titolo “Incontrare la sofferenza” e il ritiro silenzioso di gennaio 2017 assieme a Franco Cucchio.
Ha scritto Here for Now: Living Well with Cancer through Mindfulness (Satya House, 2007), e di Being Well (even when you're sick) (Shambala, 2012).
Racconteremo ancora di quello che Elana Rosenbaum ci ha offerto durante il seminario nei prossimo post. Se volete, potete iscrivervi alla newsletter per rimanere aggiornati sulle pubblicazioni future.