Quando le persone che conosco hanno saputo che ero appena tornata da un ritiro di sette giorni silenzioso, sette giorni di pratiche di Mindfulness, da mattina a sera, rispettando il silenzio, mi dicevano: "ma come hai fatto?? Io non potrei mai!"
E naturalmente non hanno tutti i torti a pensarla così, perché stare in silenzio, mentre continui a condividere spazi e attività con altre persone, è qualcosa di assolutamente inusuale.
Come assolutamente inusuale è dedicare tanta attenzione a sé stessi, tanto ascolto, in pratiche di meditazione che si ripetono da mattina a sera, senza fare altro.
Nella nostra natura di animali sociali siamo abituati a parlare, per scambiare opinioni, sentimenti, progetti su tutto quello che fa parte della nostra vita.
Purtroppo però siamo anche abituati a riempire i silenzi e gli spazi vuoti, fagocitando informazioni, attività, cercando di scacciare le emozioni fastidiose come l'ansia o la noia. E a forza di riempire ci ritroviamo senza più un po' di spazio per noi, per ascoltarci e sentire, capire quello di cui abbiamo veramente bisogno.
E, abituati come siamo ad avere dei giudizi e dei concetti sulle nostre esperienze, anche su quelle che non abbiamo mai fatto prima, è naturale che la nostra mente, di fronte all'informazione "silenzio per sette giorni" si spaventi e la giudichi una esperienza eccessiva. Non c'è niente di male, di sbagliato o strano! E eccessiva, nel senso di intensa e profonda, lo è davvero.
Perché, per me, é l'esperienza più profonda che finora possa aver fatto.
E la sua profondità sta proprio nel fatto che attraverso la pratica ci svincoliamo dai concetti che la nostra mente produce senza sosta, e ci permettiamo di aprirci ad una esperienza aconcettuale, in cui il filtro dei pensieri è dei nostri schemi viene riconosciuto e allentato. Piano piano, pratica dopo pratica, respiro dopo respiro, ritroviamo il contatto diretto con i sensi, con l'esperire, con tutto ciò che già c'è, non quello che pensiamo dovrebbe essere o esserci, senza cambiare nulla.
Franco, guida gentile e intensamente stimolante, ci ha condotto dentro la profondità di questa esperienza, in un viaggio intimo e delicato all'interno di noi stessi. Invitandoci ripetutamente a non andare verso l'esperienza, a non cercarla né a cercare qualcosa, ma ad aprirci semplicemente a quello che già c'era, ci ha incoraggiato a non aggrapparci a niente e a rimanere in contatto continuo con quello che poteva emergere.
Un respiro dopo l'altro e un passo dopo l'altro, il silenzio non é rimasto un vuoto, ma si è spontaneamente riempito di tutte quelle infinite qualità e sfaccettature di cui la nostra vita é già piena e ricca così com'è: basta solo fermarsi, rallentare, e riaprire i sensi per poterle assaporare.
Spesso ci chiediamo se "vado bene così?", sia nella pratica e ancor più nella vita. Ma non si tratta di questo.
Nella pratica, e nella vita, é più importante chiedersi: "voglio stare con te?", inteso come "posso io rimanere con me stesso, mentre siedo, mentre cammino, mentre mangio o parlo, mentre vivo"? Invece che allontanarmi e perdermi in infinite altre cose, invece che giudicarmi e giudicare l'esperienza qualsiasi essa sia, e piuttosto invece accogliendo quello che arriva, come la cosa più importante che possiamo sperimentare in questo momento, in ogni momento.
"Sai aspettare?
So bruciare.
Fino alle braci?
Fino alle braci.
È Perfetto."
Con questa poesia di Chandra Livia Candiani tocchiamo il senso della semplicità della pratica. So stare, so fermarmi, so sentire. Tutto quello che c'è, e fino in fondo.
In questi sette giorni un'esperienza che per me è stata sorprendente è stata che in taluni momenti sopraggiungeva un senso di totale e completo appagamento, che non aveva a che vedere con lo stare bene, ma con lo stare in completa armonia e fusione con l'ambiente circostante. Sentivo come se non ci fossero più separazioni fra me e il paesaggio, visivo, sonoro, olfattivo, come se fossi un tutt'uno col circostante, che la profondità si appiattisse e diventasse toccabile, palpabile, o come se tutto assumesse una forma di tridimensionalità di cui mi sentivo completamente parte. Come se entrassi nel quadro, e quel quadro ero io. E non c'era bisogno di altro. Perché era già tutto perfetto così com'era in quel momento.
Così i sette giorni sono passati, il silenzio é stata una ricchezza, che in piccola misura possiamo coltivare anche nella nostra vita così piena e caotica. Tenendo sempre a mente la semplicità.
Perché Mindfulness ha a che fare con la semplicità: la semplicità di un incontro con noi stessi.
La semplicità di incontrare il nostro respiro e di riposare su di esso.
Grazie Franco per averci condotto in questa esperienza, profonda, intensa, delicata.
(...) Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi (..)
Alda Merini